Disturbo da deficit di attenzione / iperattività (ADHD)

Il disturbo da deficit di attenzione/iperattività, solitamente abbreviato con la sigla ADHD, è oggi considerato un disturbo del neurosviluppo. Si caratterizza per un comportamento disorganizzato che nasce dall’incapacità della persona di concentrarsi e di prestare attenzione alle cose, assieme a una spiccata vivacità e impulsività che rendono difficile controllare il comportamento.

Definire i tratti dell’ADHD come veri e propri sintomi non è propriamente corretto, dal momento che si tratta di comportamenti che, in una qualche misura, sono normalmente presenti in qualsiasi bambino. Bisogna considerare tre aree distinte: disattenzione, iperattività e impulsività. Per disattenzione intendiamo comportamenti come facile distraibilità, tendenza a dimenticare le cose, difficoltà a mantenere l’attenzione su un dato compito e a concentrarsi, con difficoltà a portare a termine le attività e a organizzare il proprio lavoro. L’iperattività si riferisce invece al fatto che questi bambini hanno difficoltà a stare fermi, parlano continuamente sono sempre portati a muoversi da una parte all’altra in cerca di stimoli. Sono caratterizzati da un’alta esploratività, toccando e giocando con qualsiasi cosa capiti loro a tiro, talvolta con oggetti che possono rappresentare un pericolo per loro o per altri. Infine, l’impulsività è un’incapacità a inibire l’azione che può manifestarsi attraverso comportamenti quali l’interruzione delle persone mentre parlano, la tendenza a rispondere prima che una domanda sia stata completata, la difficoltà ad aspettare il proprio turno e una discreta invadenza nel rapportarsi agli altri.

In virtù della maggiore o minore presenza di uno degli aspetti sopraindicati, vengono solitamente distinti 3 sottotipi:

  • Con disattenzione predominante
  • Con iperattività/impulsività predominante
  • Combinato, cioè con compresenza di disattenzione e iperattività/impulsività.

 Si stima che circa il 5% dei bambini e il 2,5% degli adulti abbia un disturbo da deficit di attenzione/iperattività. L’ADHD è più diffuso tra i maschi rispetto alle femmine, e rappresenta una delle condizioni più frequentemente diagnosticate durante l’infanzia. Inoltre sembra che il numero di bambini con diagnosi di l’ADHD sia in aumento.

 

Solo in una bassa percentuale di casi il disturbo si risolve spontaneamente, mentre nell’80% circa dei casi esso permane nell’adolescenza, e nel 50% persiste anche nella vita adulta. Nel corso degli anni le manifestazioni tendono comunque a modificarsi: impulsività e iperattività si riducono con la crescita dell’individuo, mentre permangono invece le difficoltà di tipo attentivo.

Quello che mostrano gli studi longitudinali – ovvero che studiano gruppi di soggetti per periodi di decenni – è che l’ADHD è una condizione aspecifica in età evolutiva che tenda a evolvere sotto forma di differenti disturbi. E’ infatti importante il trattamento in età evolutiva nell’ottica di prevenire la possibilità di esordi di disturbi d’ansia, dell’umore o della condotta in adolescenza o età adulta.

L’aspetto preoccupante circa il decorso di questa condizione riguarda le frequenti complicazioni che si possono avere. Sebbene l’evoluzione possa variare considerevolmente da persona a persona e a seconda di vari fattori (ad esempio la qualità dei rapporti familiari, l’eventuale comorbidità con altri disturbi e il profilo cognitivo dell’individuo), il persistere dei problemi porta generalmente a condotte disadattive e altre forme di disagio psicopatologico, come comportamenti aggressivi e oppositivi, difficoltà cognitive e di apprendimento, problemi associati all’emotività, rifiuto da parte degli altri, disturbi di personalità ed uso di sostanze. Nel tempo la persona con ADHD tende infatti a sviluppare una bassa autostima, è più propensa a mettere in atto comportamenti a rischio per se stessa (come fumare, bere alcolici e ricorrere a droghe, infortuni e incidenti, gravidanze precoci) ed è più facilmente esposta e vulnerabile a fattori stressanti. Le difficoltà relazionali e lo scarso rendimento scolastico-lavorativo portano a loro volta a una mancata realizzazione personale e a frequenti insuccessi e delusioni. Alla luce di tutto ciò, la possibilità di ricevere una diagnosi e un intervento precoce assume un importanza fondamentale, in quanto permette di migliorare significativamente la qualità della vita dell’individuo e di ridurne i rischi legati al disadattamento sociale e all’insorgenza di altre condizioni disfunzionali.

L’osservazione dei comportamenti da parte di familiari, insegnanti o altre figure è certamente il primo passo per chiedere aiuto, ma non è di per sé sufficiente a stabilire se una diagnosi di ADHD sia opportuna o meno. Per fare ciò è bene ricorrere alla conoscenza e all’esperienza di professionisti specializzati che sappiano escludere eventuali altre cause che possono essere alla base dei comportamenti problematici del bambino.

L’intervento attualmente considerato maggiormente efficace prevede un approccio integrato che combina farmacoterapia, se ritenuta necessaria, e interventi psicologici di tipo comportamentale e familiare. Lo scopo principale di questi interventi consiste nel migliorare il grado di adattamento del bambino/adolescente riducendo i comportamenti inadeguati e migliorando l’apprendimento e le relazioni con genitori, insegnanti e coetanei. L’intervento farmacologico migliora l’attenzione e la concentrazione, mentre gli interventi comportamentali sono di aiuto per il controllo e la gestione dell’iperattività e impulsività. Entrambe questi interventi vengono ponderati sulla base dell’età del soggetto. Anche la famiglia rappresenta una risorsa fondamentale, capace di integrare la figura del terapeuta predisponendo gli ambienti fisici e sociali in modo funzionale al cambiamento, e favorendo la gestione dei comportamenti dirompenti. Per questa ragione vengono solitamente condotti dei parent training che aiutino il genitore a comprendere e ad acquisire metodi più efficaci per gestire il disturbo.

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